Roma -dal 16 Aprile 2010- Scuola Romana di Fotografia, Via degli Ausoni 7/a
La Scuola Romana di Fotografia con questa mostra propone un suo sogno che intende continuare a far avverare: vedere riemergere alcuni di quegli autori che all’estero sono definiti col nome di “Piccoli Maestri”. Il mondo della fotografia romano e nazionale ha infatti prodotto fotografi di pregio il cui lavoro oggi stenta ad uscire da un immeritato oblio, complici i fumosi sistemi di convalida culturale e le imperfette sovrapposizioni della fotografia coi mondi dell’arte e della cultura. Con questa mostra dedicata all’indimenticato Guido Schermi – anima fotografica della galleria romana Ferro di Cavallo – la Scuola Romana di Fotografia comincia insomma a pagare un affettuoso tributo a quegli artigiani/artisti dimenticati che sono stati il fulcro e la linfa vitale di tanti micro-sistemi nei quali, e grazie ai quali, la fotografia è maturata finendo per diventare ciò che è ancora oggi.
Guido Schermi – All’indietro nel tempo immobile
Augusto Pieroni
La fotografia di Guido Schermi fa coi luoghi quel che la nostra coscienza fa con la nostra vita: li attraversa come se il tempo in effetti non esistesse. Lo sguardo sta immobile, fissandone l’ineluttabile continuità, forse le microvariazioni, casomai l’impermanenza, infine la precaria contingenza. La fotografia di Schermi ci porta a osservare i luoghi con la stessa intensità coinvolta di colui che non potrebbe prescinderne, ma anche con lo sguardo di colui che li lascia andare, ben conscio del fatto che non c’è modo di trattenerli. L’autore sospende i panorami in effigie cercando di far sì che quelle immagini ossessive somiglino al senso di sé che si è costruito in quei luoghi, grazie a quei luoghi, a partire da quei luoghi.
Nelle immagini di Rimini sentiamo risuonare il piacere esperto di chi sa, il gusto esistenziale del vivere, la voglia di comunicare di chi è avvezzo a condividere. Una città vissuta però come una raccolta di memorie; una serie di pensieri che, a loro volta, ci vengono dati a vedere come se fossero nient’altro che tonalità specifiche del cielo, gradienti di grigi, lame di luce o masse di peso visivo.