Mostre diffuse a Magliano Sabina, la curiosità maggiore, adesso, è quella di vedere le fotografie nei luoghi dove sono esposte. A proposito, per esempio, delle navi intraviste da Teresa Mancini in una vetrina di via Sabina, mi chiedo se ritrovarle all’interno di quello stesso negozio sfitto possa essere troppo semplice oppure perfetto. La Mancini, mi pare, gioca molto di riflessi e quindi potrebbe cadere nella tentazione, che magari sarebbe una vera ispirazione. La fotografia è tutt’altra cosa dalla realtà: così, l’ombra che vedrete attraverso il vetro di un balcone maglianese – altro provvido, solare scatto della Mancini –
non è una sedia. E’ di più, è il suo riflesso, già il suo ricordo, e forse perfino una certa voglia di sedersi.
Passo e ripasso i più che cento scatti che stanno fraternizzando con il desktop del mio computer: trovo immagini così francamente belle che sarei spesso tentato di lasciare che qualcuna se ne impadronisca completamente e lo colonizzi per un po’ di tempo. Quei due campi del mio amico Antonello Ruggeri, il verde e il giallo, divisi dalla strada bianca sotto il cielo grande e profondo della Sabina di qui, che può avere d’impaccio, o di compagnia, di protezione, solo il Soratte? Non ci potrebbero stare anche loro in fronte al mio computer? Resisto solo perché ci ho messo un’immagine di molti anni fa, quando ancora mi riusciva di portare i ragazzi in Corsica a fare le vacanze con noi.
La fotografia, più facilmente di altre arti, mette in gioco i sentimenti.
Nella grande varietà delle immagini che saranno esposte ognuno potrà ritrovare l’idea o l’impressione che sentirà più sua. Per me non so dire esattamente quale sia. So però che, quando ho cominciato a sfogliare le visioni, mi è caduto l’occhio e poi s’è fermato a lungo sull’angolo d’un vecchio cinema romano, che da molto tempo non si capisce più che sia stato un cinema ed è da tanti anni decaduto a nulla che adesso certamente significherà di nuovo qualcosa. Il cinema, che forse è stato anche teatro, si chiamava Apollo come il dio del sole. Sta fra la stazione e piazza Vittorio, in quell’Esquilino bello e impossibile, che probabilmente è la nuova Roma e alla fine non è neanche tanto male. Ci sono arrivato – sempre sul desktop – seguendo Ruggero Passeri, che a sua volta seguiva il Pasolini di Una vita violenta. Del vecchio cinema resta solo la traccia delle tre serrande chiuse e della pensilina senza più vetri: gli passa davanti, più veloce dello scatto, un uomo nero, non nel senso dell’uomo nero, che ci dicevano da bambini, no, semplicemente nero di colore, come molti che passano per quell’incrocio.
Mi sono ripreso dal ricordo d’una vita lungamente vissuta da quelle parti, poco più giù, verso Porta San Giovanni, e, mentre mi dicevo che sono a Magliano e questa bella mostra si tiene a Magliano, ecco che Passeri mi ripiombava da quelle parti: un tram, o trenino, o romanamente tranvetto, una linea bianca e gialla che fugge lungo via Giolitti, inquadrata dall’arco della galleria che passa sotto la stazione. E’ poco più in là di dove mi aveva messo prima. E poi il Colosseo, ma non un Colosseo qualsiasi, bensì ancora una volta il suo riflesso: riflesso specifico nella gran pozzanghera che spesso a Roma fa l’inverno, riflesso generale e insieme più intimo di umidità vissute con scarpe e piedi bagnati. Infine una piazza Vittorio notturna: affascinante come non si vede mai. Me la ricordo quando alla fine degli anni settanta non avremmo mai avuto coraggio a passarci di notte a piedi ed esitavamo a percorrerla anche in macchina, se non altro per il fastidio che ci avrebbe dato incontrare la solita volante della polizia che, come al solito, ci avrebbe fermato. Passeri, con quel suo sipario di giostra, me l’ha fatta immaginare come l’ho conosciuta bambino, negli anni cinquanta, quando piazza Vittorio mi appariva come un vero Luna Park.
La fotografia, molto più delle altre arti, mette in gioco la memoria.
Sono passato ad altri scatti, altri autori: le antropologie diverse, bianche e nere per metodo, di Riccardo Cattani e Salvatore di Vilio, le tracce coloritissime, anche se spesso monocrome, dei “Creativi” che mi riportavano nella grande città, l’universo sferico di Toni Garbasso. Poi sono tornato in campagna. E’ un lungo viaggio questa mostra, che avrà certamente il merito di far capire ai maglianesi e a tutti coloro che verranno a vederla che, seppure i ricordi sono diversi, il mondo è uno. E per questo la memoria di ognuno può essere memoria di tutti. E se è vero che l’Italia è ancora fatta di città e di campagna, non c’è più la separazione che c’era una volta: volendo, possiamo conoscere quasi tutto, ricordare tutto. Così Magliano fa le prove di vivere anche una vita nuova.
di Stefano Tomassini*
*Scrittore, Giornalista, Consigliere del Comune di Magliano Sabina, con delega alla Cultura